I can get no, resurrection

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Nei giorni scorsi abbiamo assistito ai sentitissimi festeggiamenti per i 150 anni dalla creazione dello stato italiano. Un avvenimento particolare in cui in tanti si sono sentiti in dovere di partecipare, amministratori sardo/italiani in primis, ma alla fine nessuno  si è chiesto quali erano i motivi per farlo. Stessa atmosfera di quando gioca la nazionale di calcio italiana, si tirano fuori polverose bandiere dai cassetti, si canta l’inno di Mameli a squarciagola senza tra l’altro azzeccarne mezza parola ne tantomeno conoscerne il significato e così via in un turbine di passione nazionalista da quattro soldi. Il giorno dopo però la sbronza passa e si torna con i piedi per terra. Tutto nella normalità di questi ultimi sessant’anni di patetica e fallimentare struttura politica, amministrativa e sociale instaurata in Sardegna, meglio nota come “autonomia speciale”.

Ancora una volta il punto di snodo della questione è legato all’interpretazione che viene data alla storia dei sardi, una storia effettivamente negata in quanto non viene studiata nelle nostre scuola, ma pur sempre a disposizione di tutti i volenterosi che volessero approfondirla. Non è stato piacevole assistere al carosello di interventi di politici e intellettuali che affannosamente e con uno sforzo di retorica degno dell’epoca d’oro del Minculpop, hanno cercato di illustrare la “straordinaria” partecipazione dei sardi alle guerre risorgimentali, che giustificherebbe non solo la nostra legittima adesione a questa malinconica festa, ma in fondo anche la nostra “italianità”, sempre più spesso messa in discussione dagli indipendentisti guastafeste.

Non c’è nulla di male quindi a dare una veloce ripassata al nostro passato, giusto per capire quanto in realtà i sardi presero parte all’epopea storica del “risorgimento italiano”. Bastano pochi esempi per capire che forse questa tesi non è del tutto corretta. Ad esempio si è parlato di presenza considerevole di volontari sardi nella prima guerra d’indipendenza italiana del 1848; partecipazione che ci fu realmente ma fu tutt’altro che eclatante. Furono solo 500 i volenterosi che partirono dall’isola, considerando che a quei tempi la Sardegna contava circa 600.000 abitanti (il regno sabaudo 4 milioni) siamo a meno dello 0,1%. Una percentuale irrisoria che dimostra  un reale e profondo disinteresse da parti degli isolani rispetto a quello che succedeva oltre Tirreno.  Per fare un raffronto con il passato basta ricordare che nel 1409 nella sfortunata “Battaglia di Sanluri” furono ventimila i sardi che decisero di combattere per difendere la libertà della propria terra, in questo caso si può parlare con ragionevolezza di massiccia mobilitazione da parte di quelli che possiamo considerare i nostri antenati.

Altrettanto scarso fu l’interesse popolare per la seconda guerra del 1859, a dimostrazione del fatto che i sardi di allora non combattevano volentieri a fianco dei loro colonizzatori, magari anche perché a conoscenza del fatto che Cavour, già noto per il tentativo di svendere l’isola agli inglesi (e magari lo avesse fatto…), minacciò in quel periodo di far bombardare Cagliari e l’isola che non si dimostravano affatto accondiscendenti con il governo. Il panciuto primo ministro coi basettoni dietro un aspetto da bonaccione nascondeva  un atteggiamento ben poco simpatico nei confronti dei sardi, nonostante tutto ciò nell’isola non mancano piazze e statue che portano il suo nome.

Curioso anche rilevare come il sardo d’adozione Garibaldi non fece molti proseliti tra i suoi futuri vicini di casa. Ha del comico la risposta di Manlio Brigaglia, vero e proprio brontosauro della cultura sarda, che a un giornalista televisivo che gli domandava quanti fossero i sardi tra i mille che sbarcarono a Marsala, ha il coraggio di ribattere in questo modo: “Non tantissimi, diciamo meno di cinque…”. Una vaghezza voluta appositamente per nascondere la verità. Nella realtà all’impresa parteciparono solo tre sardi. Dei quali uno non conta in quanto era fuochista nella nave che venne sequestrata dal barbuto massone dei due mondi e quindi costretto a partecipare suo malgrado alla perigliosa spedizione; gli altri due erano sardi solo di nascita (e tra l’altro le loro famiglie erano originarie della penisola) ma già da tempo non vivevano nell’isola. Dalla Sardegna alla fine non partì nessuno, e questo nonostante Garibaldi si fosse stabilito a Caprera già da tempo.

Ben poco fu quindi l’entusiasmo dei sardi per quelle che in fin dei conti erano guerre lontane, il cui esito poco o nulla avrebbe cambiato il loro destino. La forzatissima retorica di questi giorni, come al solito ispirata ad uno sforzo di integrazione con la terraferma tanto dannoso quanto malriuscito, non rispetta dunque le vicende del passato. D’altronde seguendo la logica di questi festeggiamenti i sardi dovrebbero celebrare anche gli anniversari della Guerra di Crimea in cui furono costretti a partecipare, della rivoluzione francese in quanto Angioy fu una sorta di continuatore di quei valori in Sardegna, e visto che abbiamo molti emigrati al nord si potrebbe organizzare anche qualcosa in occasione della festa dei popoli padani, tanto di soldi da buttare ne abbiamo tanti.

Yutri el Shard

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