Un partît sart «normalmentri european»

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12 ottobre 2010

E’ in edicola in Friuli il numero di Ottobre dell’importante rivista friulana La patrie dal Friûl in cui è presente una intervista di Ivo Murgia a Franciscu Sedda su iRS e sul nuovo indipendentismo sardo.

Quando e perché nasce iRS?
Aumentare le possibilità di identificazione indipendentista. Dare una scossa a un panorama indipendentista con troppe ambiguità, contraddizioni, incertezze. Sfidare l’indipendentismo, sfidare noi stessi prima ancora che gli altri, ad essere migliori. Questo è quello che abbiamo fatto quando nel 1998 abbiamo creato Su Cuncordu pro s’Indipendentzia de sa Sardigna, che è stato il luogo di ideazione e incubazione di iRS, e poi nel 2003 con la fondazione di iRS. I risultati credo siano sotto gli occhi di tutti. E non solo per la centralità che iRS ha assunto nel dibattito politico sardo o per il 4% dei consensi e il radicamento territoriale sempre più profondo e diffuso. Le innovazioni di iRS in materia di elaborazione, linguaggio e azione politica hanno fatto bene a tutti, anche a chi all’epoca disse che non c’era bisogno di un nuovo soggetto indipendentista, perché hanno costretto la società sarda a ripensare se stessa fin dalla radice.

Ci puoi spiegare i principi politici di iRS, ovvero che cosa intendete per non violenza, non nazionalismo e non sardismo?
La nonviolenza non è semplicemente il rifiuto dell’utilizzo della lotta armata per ottenere risultati politici. Nella nostra elaborazione essa diviene un principio più profondo che può tradursi con l’idea dell’essere “propositivi”, ovvero essere sempre “per qualcosa” e non “contro qualcuno”. Creare positività, aprire mondi che potremmo abitare insieme attraverso la connessione “propositiva” di idee e corpi è il miglior antidoto contro le ingiustizie. “Invece di maledire il buio, accendi una candela”, diceva un saggio orientale.
Il non sardismo è il nostro posizionarci fuori dal discorso dominante della politica sarda, quel discorso che nasce ad inizio ‘900 e si concretizza nell’Autonomia Regionale che oggi conosciamo. E’ un discorso che si basa sull’idea che la Sardegna sia una “nazione abortiva” o “fallita” e che dunque il suo destino non possa che compiersi dentro un’altra cultura, un’altra nazione, un altro Stato. E’ una posizione suicida, che uccide volontariamente la diversità nazionale dei sardi, e che apre il cammino al rivendicazionismo economicista che ha segnato la storia dell’ultimo secolo in Sardegna. L’idea che lo Stato ci doveva salvare dalla nostra (supposta) “arretratezza” e “barbaricità”. Noi diciamo semplicemente che non siamo figli di quella tradizione e che a partire da quella tradizione non si può costruire né un indipendentismo minimamente coerente né una società sarda libera da complessi vittimistici o di inferiorità.
Disconnettere l’idea di indipendentismo da quella di nazionalismo significa disconnettere la prassi indipendentista dallo stile violento, aggressivo, arrabbiato, risentito e dalla manie dell’orgoglio narcisista che porta sempre a giustificare se stessi, a uccidere lo spirito critico, il gusto per le sfumature.
La verità è che noi siamo per la nazione sarda ma non abbiamo bisogno del nazionalismo per realizzarla. Noi vogliamo un progetto nazionale per la nostra Repubblica, un progetto aperto, inclusivo, plurale, capace di tradurre la tradizione e l’alterità, un progetto che non viva di feticci o nostalgie e non abbia paura della diversità, dell’alterità, dell’innovazione. Noi non possiamo avere paura del diverso, perché noi siamo diversità. Noi non possiamo avere paura del nuovo, perché noi vogliamo realizzare qualcosa che ancora non c’è. Noi vogliamo ritessere le trame della nostra storia, del nostro percorso di nazione, e far sì che oggi ciascuno si possa identificare in forma positiva e creativa in questa storia in divenire. Ciascuno può divenire sardo amando la nazione sarda, impegnandosi con essa e per essa.

Perché proponete di cambiare la bandiera dei 4 mori con quella del Giudicato di Arborea?
Basterebbe chiarire i termini per rendersi conto del valore della nostra scelta. L’albero verde in campo bianco (che in nessun testo medievale viene chiamato “deradicato”) è inizialmente la bandiera del Giudicato d’Arborea, ovvero uno dei quattro regni indipendenti che compongono la Sardegna ad inizio del mille, ma con il procedere della lotta sempre più unitaria e vincente dei sardi contro i catalano-aragonesi esso diviene la bandiera della “republica sardisca”, come si diceva in sardo, della “naciò sardesca”, in catalano. E’ a questa storia indipendentista, a questo momento chiaro di unità dei sardi, che noi ci vogliamo ricollegare scegliendo l’albero verde. La bandiera dei quattro mori, a cui tutti siamo stati affezionati, a uno sguardo attento non ha mai assolto questo compito. Fin dal suo arrivo in Sardegna,  come simbolo aragonese, ha sempre rappresentato una Sardegna fedele a una sovranità esterna. Oggi dunque non si tratta di odiare i quattro mori, come pensa qualcuno: si tratta di trovare un altro amore, più nostro, un amore veramente indipendentista.

La vostra classe dirigente ha un’età media intorno ai 30 anni e anche l’elettorato ha una età media molto bassa, come riuscite ad  attirare così tanti giovani al vostro movimento?
In Svezia i leader politici hanno fra i 30 e i 40 anni. In Italia stanno fra i 60 e gli 80. Forse noi non siamo un movimento giovane, siamo semplicemente un partito serio, normalmente europeo, capace di attirare persone da ogni fascia di età con un linguaggio nuovo, un’attenzione ai problemi di tutti, una passione sincera per l’impegno pubblico. Io credo che iRS faccia presa dovunque c’è dinamismo e voglia di mettersi in gioco in modo responsabile per dare un contributo, anche piccolo, alla Sardegna e al mondo. I ventenni e i trentenni sardi di oggi hanno questa grande carica e vogliono essere protagonisti del proprio presente.

Voi date ampio risalto alla ricostruzione dell’identità sarda ma che spazio hanno nella vostra elaborazione la cultura tradizionale e la lingua sarda?
La coscienza storica, la lingua, il patrimonio nazionale, le risorse economiche, i diritti sociali, l’ambiente e tanto altro. Ogni elemento è decisivo nella costruzione della nostra nazione . Anche per questo noi dobbiamo defolklorizzare la tradizione e ridarle dignità nazionale, dobbiamo tradurla per farla sentire patrimonio del presente e non residuo del passato. E dobbiamo impostare una seria politica plurilinguistica in cui il sardo, attraverso uno standard, divenga lingua nazionale e le sue molteplici varianti siano patrimonio delle nostre comunità. Chi sa di più, chi parla italiano e inglese o chi parla italiano, inglese e sardo? Noi vogliamo aggiungere vita: più lingue,  più ricchezza culturale, più creatività e cura di noi stessi, significa più prosperità morale, sociale, economica. Significa creare una Repubblica più bella.

Vi muovete tra elaborazione politica e azioni non violente, tra teoria e prassi, vuoi raccontare quali sono state e quali saranno le vostre battaglie più importanti?
Sarebbero davvero tante. Dall’azione del 2003 contro la collina dei veleni dell’Enichem a Porto Torres, alla mobilitazione per ridare dignità a quell’incredibile patrimonio archeologico che sono i Giganti di Monti Prama, alla battaglia per le entrate che lo Stato non rende ai sardi da 15 anni con la proposta della Cassa Sarda delle Entrate, alla celebrazione del seicentenario della Battaglia di Sanluri del 1409, alle denunce contro l’eolico “sporco” e il dialogo con gli scienziati sardi per una green economy nell’interesse della collettività. Ne sto tralasciando molte, comprese alcune che hanno avuto anche più evidenza mediatica. L’importante è capire che dietro a ogni azione di iRS c’è una elaborazione e l’azione è un passaggio dentro una narrazione più ampia che non si risolve nell’azione in sé. L’azione è uno strumento per mobilitare i corpi e le coscienze, ma mobilitarli per creare, realizzare, proporre, non per semplice desiderio di protesta o contestazione.

Perché hai intitolato il tuo ultimo libro ‘I Sardi sono capaci di amare’?
Il titolo è una sfida. Ricordarci che siamo stati capaci di amare noi stessi e la nostra nazione. Abbandonare stereotipi più o meno reali come l’invidia, la vendicatività, il risentimento e riaprirci alla cooperazione, alla solidarietà, alla condivisione di un progetto di crescita umana e democratica. Perché ricordiamocelo, i popoli non nascono uniti: un popolo si unisce solo se le persone hanno qualcosa di positivo e importante da realizzare insieme.

Come vedi la Sardegna del futuro? Quando ci sarà la Repubblica Sarda indipendente?
La Sardegna del futuro la vorrei casa accogliente e esempio per il mondo. Una Repubblica politicamente libera, socialmente giusta, economicamente prospera, moralmente degna.
Quando sarà? La storia corre veloce. E l’impegno di tante donne e uomini di Sardegna, ogni giorno più consapevoli, motivati, appassionati la fa accelerare. L’indipendenza è un po’ più distante di quanto desideriamo (io la vorrei oggi!) e molto più vicina di quanto immaginiamo.



Versione in sardo*

Candu e poita est nàsciu iRS?
Po cresci is ocasionis de si connosci che a indipendentistas. Po donai una stratallada a unu mundu indipendentista unu pagheddu mali-seguru, scontroriau e dudosu puru. Po ponni marrania a s’indipendentismu, a nosu etotu e no a is àterus, po essi òminis prus balentis. Custu est su chi eus fatu in su 1998 candu ndi eus stantargiau su ‘Cuncordu pro s’Indipendentzia de sa Sardigna’, chi est stètiu su logu aundi eus pensau e aundi est incumentzau a nasci iRS, e finas in su 2003 candu eus fundau iRS. S’arresurtada creu chi dda potzant biri totus. E no sceti po ca iRS est bènniu a essi su centru de s’arrexonada polìtica sarda o po su 4% de is avotus chi ndi at pigau o po s’arrexinamentu in logu nostu prus e prus fungudu e spartzinau. Is cosas noas de iRS po su chi est ideas, linguatzu e fainas polìticas ant fatu profetu a totus, finsas a is chi a s’ora iant nau ca no ndi tenemus abisòngiu de un’àteru partidu indipendentista, poita ant obrigau a sa sotziedadi sarda a torrai a pensai a issa etotu de is intrànnias.

Si-ddus podis spricai is printzìpius polìticus de iRS, est a nai ita bolit nai po bosàterus sa ‘no-violèntzia’, su ‘no-natzionalismu’ e su ‘no-sardismu’?
Sa no-violèntzia no bolit nai sceti a no imperai sa fortza e is armas po ndi scabulli un’arresurtada polìtica. In s’idea nosta est unu printzìpiu prus fungudu chi podeus tradusi cun s’idea de essi ‘bonus faidoris’, de essi po fai cosa bona e no contras a calincunu. A imbentai positividadi, a aberri mundus chi emus a podi bivi impari po mesu de su liòngiu faidori de is ideas e de is personis, chi est sa mellus bessida contras a is cosas tortas de sa vida. ‘In logu de maledixi su scuriu, allui una steàrica’ naràt un’òmini sàbiu de s’Orienti.

Su no-sardismu nostu est su essi foras de s’idea forti de sa polìtica sarda, cudda idea chi nascit a printzìpius de su 900 e benit a essi s’Autonomia Regionali chi seus connoscendi in dii de oi. Est un’arrexonu fundau apitzus de s’idea chi sa Sardìnnia siat una natzioni-strumìngiu o faddia e chi duncas sa preneta sua si potzat fai sceti aìnturu de un’àtera cultura, de un’àtera natzioni e de un’àteru stadu. Unu pensamentu bocidori est, chi bocit a manu sua etotu sa diversidadi natzionali de is sardus e chi aberit su mori a sa pedidoria de dinai chi at marcau sa stòria de s’ùrtimu sèculu in Sardìnnia. S’idea chi su stadu si depessit sarvai de s’arestùmini e de sa malesa nosta, annarona. Nosu seus narendi sceti ca no seus fillus de custu connotu e ca movendi de un’idea aici no fait a ndi pesai ni un’indipendentismu chi siat pagu pagu assetiau e nimancu una sotziedadi sarda sfranchia de su cumplessu de essi prus pagu cosa de is àterus.

A ndi bogai s’idea de s’indipendentismu de su natzionalismu, bolit nai a ndi bogai sa manera de fai indipendentista de su sètiu malu, certadori, arrennegau e felosu e de is strollichèntzias de cuddu orgòlliu tontu e bantaxeri chi bàliat totu su chi faeus e chi bocit su spìridu crìticu e su gosu de is sfumaduras.

Sa cosa est ca nosu seus po sa natzioni sarda ma no teneus abisòngiu de natzionalismu perunu po dda fai. Nosu boleus unu progetu natzionali po sa Repùbrica nosta, unu progetu abertu, arricidori, diversu, bonu a tradusi su connotu e s’allenu, unu progetu chi no andit ainnantis sceti a fortza de sìmbulus siddaus e de arregordus e chi no timat sa diversidadi, sa cosa allena e sa cosa noa. Nosu no podeus timi sa cosa diversa poita nosu seus diversidadi. Nosu no podeus timi sa cosa noa poita nosu boleus fai una cosa chi no s’agatat ancora. Nosu boleus torrai a tessi sa trama de sa stòria nosta, de su caminu nostu de natzioni, po chi oi donniunu si-ddoi potzat connosci de manera bona e faidora in custu contu sèmpiri andendi. Totus podint benni a essi sardus, stimendi sa natzioni sarda, donendi-sì ita fai cun issa e po issa.

Poita est chi boleis cambiai sa bandera de is cuàturu morus cun sa de su Giudicau de Arbarei?
Iat a abastai a acrarai sa chistioni po cumprendi su balimentu de su sceberu nostu. S’àrburi birdi a sfundu arbu (chi in is documentus de s’evu mèdiu no ddi nant mai sderrexinau), a primìtziu est sa bandera de su Giudicau de Arbarei, est a nai unu de is cuàturu arrènnius sardus indipendentis a printzìpius de s’annu 1000, ma sighendi sa cumbata prus e prus unia e bincidora de is sardus contras a is cadalanus-aragonesus, custu benit a essi sa bandera de sa ‘Republica Sardisca”, comenti narànt in sardu, de sa ‘Naciò Sardesca’ a sa moda cadalana. A custa stòria indipendentista, a custu tempus berideru de unidadi de is sardus, si boleus acapiai nosu, scerendi s’àrburi birdi. Sa bandera de is cuàturu morus, chi totus eus portau in su coru, chi castiaus beni no s’at fatu mai custa faina. De sa lòmpida sua a Sardìnnia, comenti a sìmbulu aragonesu, s’at sèmpiri torrau sa màgini de una Sardìnnia fideli a unu soberanu de aforas. E duncas oi no est a tirriai is cuàturu morus, comenti pensat calincunu: iat a essi a agatai un’amori nou, prus sardu, un’amori indipendentista diaderus.

Is dirigidoris de bosàterus tenint prus o mancu unus 30 annus e finas is chi s’avotant funt piticheddus de edadi, comenti est chi ndi aproillant totu custus giòvunus?
In Svètzia is canis mannus de sa polìtica tenint unus 30/40 annus. In s’Itàlia unus 60/80. Nosu incapas no seus unu partidu giòvunu ma sceti unu partidu sèriu, europeu normali, chi ddi arrennescit a ndi betiri genti de dònnia edadi cun d-unu linguatzu nou, cun s’atentu a is chistionis de totus e cun d-una passioni sinzilla po is fainas pùbricas. Deu pensu chi iRS praxat anca ddoi at movimentu, gana de fai a trivas cun cuscièntzia, po donai una manu de agiudu, po pitica chi siat, a sa Sardìnnia e a su mundu. Is chi oi in Sardìnnia tenint 20 annus o 30, tenint custa gana bella e bolint essi issus etotu a ghiai sa vida insoru.

Bosàterus donais importu mannu a su torrai a pensai s’identidadi sarda ma ita importu ddi donais, in s’idea de bosàterus, a sa cultura de su connotu e a sa lìngua sarda?
Sa cuscièntzia stòrica, sa lìngua, sa sienda natzionali, is arrichesas, is deretus sotzialis, su logu nostu e àtera cosa puru. Totu contat torrendi-ndi a pesai sa natzioni nosta. Finsas po custu nosu ndi depeus bogai de su ‘folk’ su connotu nostu, e ddi depeus torrai dinnidadi natzionali, ddu depeus tradusi po ddu intendi comenti a unu beni de is diis de oi e no comenti un’arrestu de su tempus passau. E si depeus pensai una polìtica linguìstica sèria, aundi su sardu, po mesu de unu standard, bessat lìngua natzionali, e totu is fueddadas suas siant che prendas pretziadas de is biddas nostas. Chini est prus àbili, a chini fueddat italianu e ingresu o a chini fueddat italianu, ingresu e sardu? Nosu boleus aciungi vida, prus lìnguas, prus arrichesa culturali, prus ideas e prus incuru de nosu etotu, custu bolit nai prus arrichesa morali, sotziali e econòmica. Bolit nai a ndi stantargiai una Repùbrica prus bella.

Acostumais a si movi intra arrexonus polìticus e no-violèntzia, intra su pensai e su fai, si-ddas contas is prus fainas de importu chi eis fatu e cali eis a fai?
Iant a essi medas. De sa faina de su 2003 contras a su monti de is ferenus de s’Enichem in Portudurra, a su movimentu po torrai dinnidadi a cudda grandu sienda archiològica de is Gigantis de Monti Prama, a sa batalla po is intradas, chi su stadu no est torrendi a is sardus de 15 annus, cun s’idea de sa Càscia Sarda de is Intradas, a sa tzirimònia po arregordai is 600 annus de sa Batalla de Seddori de su 1409, a is denùntzias contras a su ‘bentu malu’ a is arrexonadas cun is scientziaus sardus po un’economia ‘birdi’ po su beni de sa comunidadi.  Su chi importat est a cumprendi ca apalas de dònnia faina de iRS ddoi est un’idea e sa faina est una parti aìnturu de unu contu prus matucu chi no est fatu de sa faina sceti. Sa faina est un’aina po fai movi is personis e is cuscièntzias ma a ddus fai movi po pensai, po fai cosa, po ndi bogai imbentus, no sceti po sa gana de si chesciai e de nai cosa.

Poita s’ùrtimu lìburu cosa tua ddu as intitulau ‘I sardi sono capaci di amare’?
Su tìtulu est unu disafiu. A s’arregordai ca seus stètius bonus a stimai a nosu etotu e sa natzioni nosta. A lassai ideas farsas comenti a s’imbìdia, s’arrevesa, sa fèngia, e a si torrai a aberri a s’agiudai apari, a si stimai apari, a essi paris in d-unu progetu de crescimentu de s’òmini e de sa democratzia. Poita ca, arregordeus-si-ndi, is pòpulus no funt nàscius unius: unu pòpulu si pinnigat apari chi is òminis tenint cosa manna e bona de fai impari.

Comenti dda biis sa Sardìnnia de cras? Candu nci at a essi sa Repùbrica Sarda indipendenti?
Sa Sardìnnia de cras, dda emu a bolli una domu acatosa esempru po su mundu. Una Repùbrica lìbera politicamenti, giusta sotzialmenti, arrica economicamenti e dìnnia moralmenti.

Candu at a essi? Sa stòria caminat a lestru. E s’impìnniu de paricis òminis e fèminas de Sardìnnia, prus e prus cuscientis, pigaus, apassionaus dda fait caminai prus a lestru puru. S’indipendèntzia est unu pagheddu prus atesu de su chi disigiaus (deu dda emu a bolli oi etotu!) e prus acanta meda de su chi si pensaus.

*Furriau in sardu de Ivo Murgia

Versione in inglese*

When and how was iRS born?
To increase the possibilities of an independentist identification. To give a shock to that independentist outlook which has too many ambiguities, contradictions, and uncertainties. To challenge independentism, to challenge ourselves even before challenging others, to improve ourselves. This is what we did in 1998 when we created Su Concordu pro s’Indipendentzia de sa Sardigna, which has been the locus of ideation and incubation of iRS, and then in 2003 with the establishment of iRS. I believe the results are before everyone’s eyes. And not only for the centrality that iRS has come to occupy in the Sardinian political debate, or for the 4% consensus and its ever deeper and growing rooting on a local level. iRS’s innovations in terms of elaboration, language and political action have benefitted all, even those who in the past used to say that there was no need of a new independentist subject, and because such innovations have forced Sardinian society to rethink herself from the root.

Could you explain iRS’s political principles, that is, what you intend for non-violence, non-nationalism, and non-sardism?
Non-violence is not simply the refusal to recur to an armed struggle in order to obtain political results. In our elaboration non-violence becomes a deeper principle that can be translated with the idea of being “propositive,” that is to be always “for something” and not “against someone.” Creating positivity, opening worlds which we could inhabit together through the “propositive” connection between ideas and bodies is the best antidote to counter injustices. As an eastern wise man used to say, “Rather than cursing darkness, light a candle.”

Non-sardism conveys our standing outside of the dominant discourse of Sardinian politics, the discourse which originated in early twentieth century and which became operative in the Regional Autonomy that we know today. It is a discourse based upon the idea that Sardinia is an “abortive” or “failed nation”, and that her destiny is therefore to be realized within another culture, another nation, another State. It is a suicidal position, one that willingly kills the Sardinians’ national diversity, and that opens the way to the model based on economicist demands which has characterized Sardinian history over the past century. The idea that the State had to save us from our (supposed) “backwardness” and “barbaricity.” We simply say that we are not the offspring of such a tradition, and that departing from that tradition it is neither possible to establish a minimally coherent form of independentism, nor is it possible to create a Sardinian society that is free from self-pitying attitudes of inferiority complexes.

Disconnecting the idea of independentism from that of nationalism means disconnecting independentist praxis from the violent, aggressive, angry, resentful style and from the narcissistic manias that always lead one to justify oneself, and to kill a critical spirit and a taste for nuances. The truth is that we are for the Sardinian nation but we have no need for nationalism to realize it. We want a national project for our Republic, a project that is open, inclusive, plural, able to translate tradition and alterity, a project that does not draw energy from fetishes or nostalgias, and that has no fear of diversity, alterity, and innovation. We cannot fear the different, because we are diversity ourselves. We cannot fear the novelty, because we want to realize something that still is not there. We want to weave once again the threads of our history, of our trajectory as a nation, and make things so that everyone is able to identify in a positive and creative way with this history in becoming. Everyone can become a Sardinian by loving the Sardinian nation, becoming engaged with and for her.

Why do you propose to substitute the flag of the four moors with the flag of the Judicate of Arborea?
It would be sufficient to clarify the terms in order to realize the value of our choice. The green tree on a white background (which in no medieval texts was called “eradicated”) is at the beginning the tree of the Judicate of Arborea, one of the four independent kingdoms making up Sardinian in early eleventh century. But with the advance of the increasingly unitary and winning struggle of the Sardinians against the Catalano-Aragonese, it becomes the flag of the “republica sardisca,” as they used to say in Sardinian, of the “naciò sardesca” in Catalan. By choosing the green tree we want to reconnect with this independentist history, with this clear moment of unity among Sardinians. At a careful look, the flag of the four moors, which we have all loved, never accomplished this task. Since its arrival in Sardinia as an Aragonese symbol, it has always represented a Sardinia faithful to an external sovereignty. Today, then, it is not a question of disparaging the four moors, as someone thinks: it is a question of finding another love, one that belongs more to ourselves, a truly independentist love.

The average age of your politicians is around 30. The average age of your electors is also rather low. How do you manage to attract so many young people to your movement?
In Sweden, political leaders are between 30 and 40 years of age. In Italy they stand between 60 and 80. Maybe we are not a young movement, we are simply a serious, normally European party, that is able to attract persons from among each age with a new language, an attention to the problems of everyone, a sincere passion for public engagement. I believe that iRS plants roots wherever there is dynamism and a willingness to put ourselves at stake in a responsible way, in order to give even a small contribution to Sardinia and to the world. Sardinian twenty- and thirty-years-olds of today possess this great energy and want to be protagonists of their own present.

You greatly emphasize the reconstruction of Sardinian identity, but what place do traditional culture and Sardinian language occupy in your elaboration?
Historical knowledge, language, national heritage, economical resources, social rights, environment, and much more. Each element is decisive in building our nation. For this reason, too, we must defolklorize tradition and give a national dignity back to her, we must translate her so that she can be perceived as the heritage of the present, and not a residue of the past. And we must also project a serious policy of plurilingualism in which Sardinian, through a standard, can become the national language, while its many variants can be the heritage of our communities. Who knows more, who speaks Italian and English, or who knows Italian, English, and Sardinian? We want to add life: more languages, more cultural riches, more creativity and care for ourselves, mean an increased moral, social, and economical prosperity. They mean creating a more attractive Republic.

You move between political elaboration and non-violent actions, between theory and praxis, would you like to tell about your most important battles of the past, and those of the future?
They would be too many to tell. From our action, in 2003, against Enichem’s “hill of poisons” in Porto Torres, to the mobilization in order to give back dignity to the incredible archeological heritage of the Giants of Monti Prama, to the battles for revenues that the State has not been paying back to Sardinians for 15 years with our proposal to institute a Sardinian Revenue Fund, to our charges against the “dirty” wind energy and our dialogue with Sardinian scientists for a green economy in the interest of our community. I’m leaving many actions aside, including some which received more coverage on the media. The important thing is to understand that behind iRS’s each and every action there is an elaboration, and that action is a step within a larger narrative which is not resolved in the action by and in itself. Action is an instrument able to mobilize bodies and consciousnesses, but one that mobilizes them in order to create, realize, propose, and not out of a desire of protest or to contestation.

Why did you entitle your last book “Sardinians are capable to love”?
The title is a challenge. Recollecting that we have been capable to love ourselves as well as our nation. Abandoning more or less real stereotypes such as envy, vengefulness, resentfulness, and reopening ourselves to cooperation, solidarity, and sharing of a project of human and democratic growth. Because, we should remember, peoples are not born united: peoples become united only if individuals have something positive and important to realize together.

How do you see the Sardinia of the future? When will we have the independent Sardinian Republic?
I would like the Sardinia of the future to be a welcoming home, and an example for the world. A politically free, socially equal, economically prosperous, morally worth Republic. When will we have it? History runs fast. And the engagement of many men and women of Sardinia, every day more aware, motivated, and passionate, makes it go even faster. Independence is slightly more distant than we wish (I would want it today!) and much closer than we can imagine.

*Translated by Martino Dibeltulo

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