Gavino Sale: “E adesso governiamo” | Forum “Unione Sarda”

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Foto Giuseppe Ungari

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«Dietro la peste suina un complotto a vantaggio degli allevatori padani»

La ricetta economica: incentivare le produzioni locali di qualità

Domenica 6 maggio Gavino Sale non andrà a votare: «I referendum sono un bluff. Demagogia pura».

Ma incidono sui privilegi della politica.

«Se volevano tagliare i privilegi potevano farlo in modo molto più concreto. Dimezzandosi gli stipendi in Consiglio regionale, per esempio, visto che molti siedono lì. Invece che ridurre il numero dei consiglieri regionali».

Già, per gli indipendentisti sarà più difficile conquistare un seggio.

«Anche altri gruppi sono contrari. Passa sotto silenzio una riforma che dà più potere a poche persone».

Lei è un consigliere provinciale, ma non ritiene che sia giusto riformare enti che molti considerano scatole vuote?

«È vero che c’è stata una degenerazione, sono diventate centri di potere. Ma potrebbero riconquistare la funzione nobile di coordinare decine di Comuni».

Non rischia di essere un atteggiamento conservatore?

«Le forze della conservazione sono quelle che oggi lottano contro quelle dell’emancipazione, della liberazione dell’Isola. Ma vinceranno queste ultime. I sardi stanno decidendo di non inabissarsi nei meandri della storia e di scegliere una strada di libertà e prosperità».

Ma chi l’ha detto che, facendo da soli, i sardi avranno più prosperità?

«Invertiamo il concetto: la sottomissione all’Italia dove ci ha portato? A un disagio economico ed esistenziale pazzesco. Oggi i sardi sono i più grandi consumatori di psicofarmaci. Siamo balzati persino in testa alle classifiche dei suicidi. Porgo un saluto rispettoso a chi si è tolto la vita, non deve più accadere che un sardo si ammazzi perché non riesce ad andare avanti».

Molti economisti però pensano che, se dovessimo fare tutto con la fiscalità isolana, saremmo costretti a ridurre il livello dei servizi, almeno temporaneamente.

«Fino ai 18 anni io ero autonomo, perché amministravo i soldi che mi dava la famiglia. A 19 sono diventato indipendente, perché ho iniziato a campare con i soldi miei. Per un po’ forse sono dimagrito, ma sono diventato un homine . Non il figlio di qualcuno».

Allora ammette che il passaggio all’indipendenza comporterà sacrifici.

«Non è neppure vero questo: apposta parliamo di sovranità come fase di transizione».

In che senso?

«Con l’acquisizione di segmenti di sovranità (fiscale, alimentare, energetica) impareremo a governarci da soli. Cancellando la delega allo Stato italiano. La delega che, come dice Placido Cherchi, interrompe la sfericità dialettica tra individui».

Concetto non semplice. Ci spieghi però quelle tre sovranità.

«Partiamo da quella energetica. È un settore chiave. Con le energie alternative la Sardegna è come un pozzo di petrolio in mezzo al Mediterraneo, ma della ricchezza che si produce si avvantaggiano altri».

Chi sarebbero?

«Le multinazionali, lo sanno tutti. Ogni anno ci portano via un miliardo di euro. La Tirrenia costa 380 miseri milioni, con quei soldi potremmo comprarci una flotta ogni quattro mesi».

Passiamo alla sovranità alimentare. Significa autarchia?

«Ma quando mai, significa incentivare le nostre produzioni agricole di qualità. Oggi l’84% dell’agroalimentare che consumiamo è importato. Nei porti sono in calo tutte le voci: auto, passeggeri. Tranne le importazioni di merci: più 6% nell’ultimo anno. E poi c’è lo scandalo del settore agrozootecnico».

Quale scandalo?

«Quello di un potenziale enorme, nella produzione di carne ovina e bovina per i paesi del nord Africa, che non è sfruttato. Libia, Algeria e Tunisia chiedono vitelli, agnelli, agnelloni, prosciutto di pecora. Una domanda senza limiti. Invece cosa succede? Che si decide che qui non si deve produrre niente. E gli allevatori padani ed emiliani ci sommergono di carne suina con la scusa della peste».

Non è una scusa, c’è davvero.

«Ma com’è che se ne avvantaggiano solo i produttori emiliani, dietro i quali c’è la Banca popolare di Reggio Emilia, cioè il Banco di Sardegna? E qui da noi c’è un assessore all’Agricoltura che non fa niente, è totalmente assente».

Sta dicendo che dietro la peste suina in Sardegna c’è un complotto?

«Senza ombra di dubbio».

Terzo “segmento” di sovranità, quella fiscale.

«Ci consentirebbe di eliminare Equitalia e di avere una nostra agenzia di riscossione, sull’esempio dei baschi. Monti non deve permettersi di chiedere 4 miliardi all’Isola se ce ne deve 10 arretrati. È un’arroganza inaudita, ne ride tutta Europa».

E l’indipendenza?

«Arriverà, non è un problema. Lo dimostra anche quella ricerca dell’Università di Cagliari, di cui avete parlato sull’Unione Sarda».

La sorprende che gli intervistati si sentano più sardi che italiani?

«No, è la conferma scientifica dei nostri ragionamenti. Oggi l’indipendentismo è sempre

più diffuso, in tutti i ceti e tutti i partiti».

Si era già parlato di sardismo diffuso, in altri tempi.

«E non ha prodotto nulla. Ma stavolta Irs lancia un messaggio a tutti gli indipendentisti che stanno fuori dalle sigle classiche di quest’area».

E la famosa unità degli indipendentisti?

«Non serve più. La somma dei movimenti della cosiddetta Convergenza dà esattamente, in termini elettorali, lo 0,6%. Non è più il tempo di limitarsi alla testimonianza».

Non è più il tempo neppure per azioni clamorose come il blitz a Fiumesanto o l’invasione di Villa Certosa?

«Quelli erano gesti necessari, in una certa fase, per conquistare spazi. La chiamavamo guerriglia virtuale, perché era senza armi».

Dicono che lei potesse fare quelle cose grazie alla copertura dei servizi segreti.

«Ma quali servizi. Se non ci hanno mai condannato è perché abbiamo avvocati bravi, che ci hanno sempre spiegato fin dove potevamo arrivare. Ma anche quella è una fase conclusa».

Quel che non finisce mai sono le liti tra indipendentisti. Come quella che ha spaccato Irs.

«È normale, tutte le volte che i sardi si organizzano c’è chi tenta di bloccare questo processo. Ma stavolta non ha funzionato, anche se c’erano grandi sponsor esterni».

Quali?

«Non posso dirlo. O forse non voglio dirlo».

Ma quei dissidi si possono superare? Accettereste altre sigle indipendentiste in un’ipotetica alleanza “sovranista”?

«Non proviamo ostilità verso nessuno. Ben vengano le altre sigle. Ma sia chiaro che siamo noi di Irs ad aver spostato l’asse della discussione».

È d’accordo con la proposta di una nazionale di calcio sarda, per cementare l’identità comune?

«È una vecchia idea di Irs. Una mitopoiesi moderna: creare miti e simboli di identificazione di un popolo. Sì, può servire. Tanti anni fa facemmo una selezione, vinse per 1-0 a Nuoro contro la Corsica».

Gol di…?

«Gianfranco Zola».

“E adesso Governiamo”

Il leader di iRS: basta con l’indipendentismo che si isola nel ghetto.
Serve un’alleanza basata su progetti seri di autodeterminazione.

Resta sul tavolo un foglio, l’intervista con Gavino Sale è finita. Restano i suoi appunti, pochi concetti scritti a penna, come per chiamare a raccolta le idee, durante il forum dell’Unione Sarda sull’indipendentismo. E al centro del foglio, in evidenza, una frase che suona solenne: Il destino si disvela allo sguardo .

Se l’avesse scritta più volte ricorderebbe il mattino ha l’oro in bocca di Jack Nicholson in Shining, e del resto a tratti lo sguardo di Sale giustifica il paragone. Ma il leader di Irs non è un folle, semmai un folletto: da vent’anni agita il quadro politico, sparisce, riappare un po’ qua e un po’ là, cambia direzione con strambate da America’s Cup. Sprigiona fascino magnetico e suscita avversità profonde. Di certo non è banale. «Quella frase – spiega Sale – è di Elémire Zolla, antropologo novecentesco. Significa che il destino ce l’abbiamo davanti agli occhi, basta agguantarlo».

Parla dell’indipendenza della Sardegna? Oggi sembrano volerla tutti.

«È il frutto di dieci anni del nostro lavoro. Stiamo raggiungendo gli obiettivi, i nodi stanno venendo al pettine».

È anche possibile che si voti un referendum sull’indipendenza: Doddore Meloni ha raccolto 27mila firme, c’è anche la sua?

«Io ho autenticato alcune firme, come consigliere provinciale. Ogni iniziativa dei movimenti indipendentisti contribuisce ad alimentare il tema che ormai è al centro del dibattito politico».

Ma condivide l’iniziativa di Meloni?

«Da poco, a Barcellona, ho parlato con quelli dello Scottish national party: anche se hanno il 51% rifiutano la proposta di Londra di fare già nel 2013 il referendum sull’indipendenza, la considerano una trappola».

Perché mai?

«Sanno che non tutti quelli che hanno votato l’Snp sono indipendentisti. La Scozia non è ancora pronta. E se non lo è la Scozia, figuriamoci la Sardegna».

Teme anche lei che la consultazione diventi un autogol per i vostri ideali?

«Da un certo punto di vista, farebbe discutere ancor di più. Ma tatticamente penso che non sia il momento. Il referendum è un’accelerazione che non era da fare adesso».

Se non ora, quando?

«Non si possono sapere adesso i tempi. L’indipendenza è come una nave. È sicuro che siamo partiti. È sicuro che il processo sia inarrestabile. Poi dipenderà dalle intemperie o dal vento favorevole».

Ammetterà che non si era mai parlato così tanto di indipendenza, nel dibattito politico sardo.

«È vero. È una parola che suscitava diffidenza e ora è sdoganata. La questione della libertà della Sardegna è irrimediabilmente posta, grazie anche al lavoro decennale di Irs, che ha sfatato i vecchi cliché».

Come è stato possibile?

«L’aspetto più rivoluzionario è stata la scelta della non violenza. Quando ne parlammo, in Corsica, i movimenti indipendentisti internazionali ci isolarono per un anno e mezzo. Ora i fatti di Catalogna e Scozia ci danno ragione».

La non violenza non è una scelta solo di Irs.

«Abbiamo altre caratteristiche vincenti. Soprattutto la capacità di stare dentro le contraddizioni della società sarda, stare insieme ai movimenti come le partite Iva, i pastori, gli artigiani. Conoscendo profondamente la realtà sarda siamo usciti da una certa visione politica elitaria, quasi settaria. Abbiamo anticipato i tempi, e la fortuna dell’ideale indipendentista negli ultimi due anni ci ha dato ragione».

Non sarà una fortuna dovuta alla crisi economica e alla difficoltà di avere risposte dallo Stato?

«La crisi è stata un caleidoscopio che ha dilatato le contraddizioni del rapporto tra Sardegna e Italia. Ha svelato un attacco violentissimo dell’Italia alla Sardegna, una guerra non dichiarata contro la quale dovremmo fare ricorso all’Ue».

Per lamentare la violazione dei patti sulle entrate?

«Su entrate, trasporti e altro ancora. Lo Stato si comporta in modo illegale, l’Europa deve fare da garante. Le leggi italiane possono avere effetti positivi in Italia, ma deleteri in Sardegna».

Quindi se i sardi chiedono più autogoverno è per una rivendicazione, non per reale sentimento identitario.

«C’è una cosa e c’è l’altra. Una presa di coscienza, legata alla conoscenza della nostra storia e al sedimentare del senso di appartenenza alla nazione sarda: amplificata però dalle contraddizioni della crisi».

Che cosa pensa dell’ordine del giorno sardista, che ridiscute la permanenza della Sardegna nella Repubblica italiana?

«Che ha messo in forma istituzionale questo processo decennale. Ha fatto entrare in Consiglio regionale i concetti di indipendenza e sovranità. Ma è quest’ultima, in questa fase, la parola magica».

Non l’indipendenza?

«L’autonomia è superata, l’indipendenza è ancora lontana. La sovranità è la pietra che non ci farà bagnare i piedi, nel guado verso la libertà».

Non sarà un concetto di indipendenza annacquato?

«Ciò che preme a Irs, nel lungo periodo, è l’indipendenza. Ma per arrivarci bisogna prima mostrare capacità di governo. Uscire dal ghetto isolazionista dell’indipendentismo. Questa oggi è la proposta di Irs. Aggregare tutte le forze politiche che si riconosceranno nella necessità di conquistare tre tipi di sovranità: fiscale, energetica, alimentare».

Quindi è disposto ad allearsi con quelli che chiamate partiti italiani?

«Izquierda catalana e Snp dimostrano che emerge, e governa, chi riesce a sintetizzare gli ideali di giustizia sociale della sinistra con l’indipendenza. Mentre i partiti di sinistra che si ostinano a difendere gli interessi statali sono destinati a soccombere. In Scozia l’Snp si è pappato il Labour».

È un monito al Pd?

«Il Pd non tenti di bloccare un processo che è condiviso da molti suoi militanti di base e quadri intermedi. Se si trasformasse davvero nel Pd della Sardegna sarebbe un fatto positivo. Ma se non si adegua, scompare».

Invece il leader di Sel, Michele Piras, ha proposto proprio un’alleanza “sovranista”.

«È un fatto positivo, la conseguenza di una maturazione della società sarda. Ripeto, è vincente coniugare i concetti della sinistra con l’indipendentismo».

Guardate solo a sinistra? Eppure il Pdl ha votato l’ordine del giorno sardista, e Cappellacci ha un profilo sempre più autonomista.

«Guardiamo a chiunque crede in questi progetti. Contro Cappellacci non ho niente, ma ha un atteggiamento comune a molti sardi: genuflesso. All’emiro del Qatar ha chiesto rispetto: il capo della nazione sarda non può chiedere questo. È indegno continuare a sperare che qualcuno ci conceda briciole di sopravvivenza».

E col Psd’Az come vanno i rapporti?

«Stanno attraversando un momento interessante. Credo che per loro sia il momento di porre fine all’agire tattico, ed entrare in una progettualità strategica. Perché gli anni passano».

E che significa?

«Come dicevo citando Zolla, il destino è lì che aspetta solo di essere agguantato. E i sardi stanno decidendo di agguantarlo. Il momento è adesso».

Giuseppe Meloni per l’Unione Sarda

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