Si può reagire all’austerity: l’esempio irlandese

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Ancora una volta ci troviamo a parlare dello stato dell’economia Irlandese.

Nonostante la crisi che si è abbattuta anche su questo paese, le scelte politiche messe in atto, stanno portando a risultati più che positivi riportando in auge quel Miracolo Irlandese di cui abbiamo parlato  in passato con grande entusiasmo.

Vediamo nello specifico:

Nazionalizzazione delle banche. E’ stato obbligatorio farlo per potersi salvare dal default. Per questo e non tanto per un’ economia malata, l’Irlanda ha dovuto richiedere l’intervento dell’Unione europea, con un piano di salvataggio di 85 miliardi di euro.

La crisi Irlandese è infatti scoppiata più per colpa del sistema bancario, ora sono rimaste di fatto due sole banche, Bank of Ireland e Allied Irish Bank.

Questi due istituti, una volta ricapitalizzati, hanno ricominciato a garantire credito, punto fondamentale da noi più volte espresso per poter far ripartire l’economia reale. Questo è stato l’elemento in più che ha permesso all’Irlanda di ripartire a livello di crescita del Pil.

Inoltre in Irlanda è stata mantenuta, contro le immani pressioni della comunità europea, la corporate tax, ovvero una politica fiscale che porta le aziende straniere che investono nel paese a pagare il 12,5% di tasse.

Tale posizione, ha portato aziende straniere quali, Twitter, Apple,  Google, Intel, CItiGroup, Dell, Facebook, Paypall, Yahoo a puntare sul suolo irlandese, aiutando così la creazione di posti di lavoro e la diminuzione del costo del welfare. Questo garantisce lo sviluppo di un’industria pulita e innovativa legata all’ITC (Information and Communication Technology) , a Internet e al mondo dei computer, in altre parole, il futuro.

Per non parlare poi del fatto che, lavorando, gli irlandesi sono tornati a spendere e la loro economia a “girare”. Una tassazione più leggera stimola, per definizione, il mercato incentivando i consumi, cosa che con il 45 % di tasse , come il nostro sistema economico ci impone, non può accadere.

Qualcuno potrebbe obiettare che sono capaci tutti di riprendersi mantenendo una bassa imposizione fiscale. In Irlanda, però, questo tipo di tassazione “leggera” è in atto da ben prima che scoppiasse la crisi, per cui non si vede perché ci si sarebbe dovuto rinunciare proprio ora che occorreva cercare di rilanciare l’economia del paese. Abbiamo già visto e pagato cosa significa piegarsi alle volontà restrittive dell’unione europea; la Grecia fallita, Italia con pressione fiscale da record e recessione, Spagna anche essa sull’orlo del fallimento ed in procinto di richiedere l’ aiuto della comunità europea, Germania sempre più strafottente e attenta solo ad aumentare i propri benefici.

Ma non è solo la bassa tassazione delle aziende il segreto irlandese; per ripianare il buco creato dal proprio sistema bancario si è trovato un sistema alternativo per ripagare i debiti contratti.

Il National Asset Management  Agency, ha offerto ai propri creditori appartamenti e appezzamenti di terreno pignorati nel corso dello scoppio della bolla immobiliare, in cambio dell’azzeramento dei propri crediti per un ammontare di 67,5 miliardi di euro.

Oltre a questo, l’Irlanda è risultato nel 2011 il terzo paese europeo con maggior surplus, dopo Germania e Olanda con un saldo positivo di 3,2 miliardi.

In particolare, a tirare sono state le esportazioni con un saldo positivo del 3,1% nel primo trimestre calato poi al +1% nel secondo trimestre.

Tutto questo ha portato ad un appiattimento dell’andamento dello spread tra titoli irlandesi e Bund tedeschi negli ultimi due anni.

Tutto risolto? Nemmeno per sogno, l’Irlanda continua comunque ad avere alcuni parametri ancora allarmanti come il rapporto deficit/Pil più alto d’Europa (13,1%).

Però, solo questo paese oggi sembra in grado di rispettare gli impegni presi con l’Europa in sede di salvataggio, ovvero raggiungere, nel 2012, un deficit pari all’8,6% del Pil.

Questo perché si sono fatte scelte decise, radicali, si è avuto il coraggio di imporre le proprie regole all’Unione Europea e non viceversa.

Per altro, anche in Irlanda è stata imposta dall’Europa una “IMU”, che si chiama Household tax,  che colpisce indiscriminatamente le famiglie, indipendentemente dal reddito. Gli effetti, però, non sono stati quelli che il governo sperava: alla scadenza del 31 marzo in circa 800 mila non hanno pagato la tassa, grossomodo la metà dei proprietari di casa registrati gridando lo slogan “Arrestateci tutti”. Così facendo hanno riprodotto una forma di resistenza passiva già messa in atto contro gli inglesi nel XIX secolo, per difendersi dagli sfratti e dagli affitti troppo alti.

Nonostante le difficoltà, l’Irlanda reagisce e propone soluzioni vincenti. In altre parole, il suo esempio ci mostra ancora una volta come l’Irish Pride sia la vera molla che sta salvando il paese, un popolo che non si è lasciato soggiogare da scelte altrui ma  che ha trovato, da sè, le soluzioni vincenti per risolvere i suoi problemi.

Le esportazioni sono aumentate del 40%, gran parte degli aumenti dipendono dagli investimenti delle imprese multinazionali nell’isola gaelica di cui abbiamo parlato. Anche nei momenti più difficili, infatti, il governo di Dublino ha rifiutato di aumentare la tassazione sulle imprese per proteggere la crescita e questo nonostante fosse accerchiata dagli stati europei che glielo imponevano. Con il tasso di disoccupazione oltre il 14%, l’Irlanda ha una lunga strada da percorrere ma la determinazione e l’unità con cui il Paese ha reagito fanno ben sperare. Tanto che un articolo del Wall Street Journal la indica come esempio da seguire per Spagna, Italia, Grecia e Portogallo.

Bisognerebbe imparare dalla diligente Irlanda che, da quando si è liberata dall’oppressione inglese, ha dimostrato di avere le competenze, la maturità e la lucidità di camminare con le proprie gambe e di farlo più che bene. E noi? Siamo pronti a prenderci le nostre responsabilità?

Claudia Aru – iRS Campidanu ‘e Mesu 

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