Qualche critica e una proposta per uscire dallo stallo autonomista

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di Franciscu Sedda

Ogni momento di crisi riapre le ferite della storia e potrebbe essere l’occasione per fare i conti con se stessi: ma pare che in Sardegna fare giustizia del passato e immaginare così un nuovo futuro non interessi. Del resto il passato lo si conosce poco o male e il futuro pare non essere prerogativa di una classe dirigente “regionale” occupata da piccole questioni contingenti.

Il punto è che l’Autonomia è nata da un ripiegamento: l’Autonomia è stata, nella forma e nella sostanza, una concessione dello Stato ad una classe dirigente sarda che nei fatti e nelle parole aveva dimostrato e garantito la sua fedeltà a quello stesso Stato e al contempo rinunciava all’affermazione della diversità nazionale dei sardi e alla relativa ricerca di un suo modello di equità e giustizia sociale. La soluzione della crisi fra Sardegna e Italia ingenerata dalle due guerre mondiali si concluse dunque con la frustrazione delle speranze collettive dei sardi e con la dichiarazione di una volontà di integrazione che lasciava alla “Regione” il solo compito che questa pensava di poter assumere: amministrare la povertà e i soldi che dovevano farcela dimenticare. La dignità e l’entusiasmo restavano compiti per qualcun altro: troppo alti per un popolo “così basso”.

Oggi il dibattito sembra purtroppo incanalarsi di nuovo su queste strade. Ciò che la classe dirigente unionista teme è di perdere le prerogative sul suo potere amministrativo e la sua capacità di rigenerazione e sussistenza: il Senato delle Regioni, che dovrebbe far gioire i federalisti che intasano la sala dell’Assemblea sarda, spaventa invece per la sua possibilità di mandare a casa tutti sul più bello. Ma il problema non è questo: il problema è che dietro le parole “unitariamente” condivise sull'”autogoverno” si annida la solita mentalità autonomistica che si riassume in:

1) l’Autonomia è giusta perché noi siamo ancora in condizione di inferiorità e svantaggio rispetto all’Italia (dunque viene da pensare che se ci si tiene tanto all’Autonomia, bisogna fare in modo di restare per sempre in questa condizione!);

2) questo abbiamo e questo ci dobbiamo tenere (è la nostra eredità);

3) l’autogoverno è gestione dei mezzi “tecnici” per risolvere questioni “tecniche” (esso dunque, per quanto possa essere utile, manca di forza ideale propulsiva: anzi, vuole competenze quasi-statuali, lasciando intatto il principio morale, culturale e affettivo di appartenenza alla “nazione italiana”).

A questo punto, ribadendo che stiamo ragionando sulle mentalità diffuse e implicite della classe dirigente sarda, e dando a ciascuno individualmente l’attenuante della buonafede, immaginiamo l’obiezione: “e cosa dovremmo fare allora? Saltare direttamente all’Indipendenza?”. Siccome la coscienza nazionale è un cammino e a chi sta lì oggi piace molto il gradualismo e piace ancora troppo poco l’idea di essere una Nazione indipendente, la mettiamo giù pratica e graduale: non sarà che per evitare qualsiasi rischio di definitiva assimilazione è ora di prendersi, almeno, lo “status di nazione”? Non sarebbe bene, attraverso uno statuto (nuovo ma momentaneo), dire qualcosa come “La Sardegna, come nazione e sulla via della sua completa autodeterminazione, si costituisce in comunità autonoma
“Forse è l’unico modo, in attesa di una Assemblea Costituente che come tutte le Costituenti dichiari un’indipendenza nazionale, per dare nerbo all’idea di un “rapporto pattizio” con l’Italia e valorizzare cose buone e giuste, già oggi reclamate, come le prerogative dei sardi sui propri beni culturali, sul proprio ambiente, sulla fiscalità, sulla sanità, sui rapporti internazionali, sulle servitù militari
Così inizierebbero ad avere un senso e, di conseguenza, anche un’utilità.

Certo è che noi rimaniamo dell’idea che ciò che serve di più a questa terra è la maturazione di una coscienza nazionale indipendentista e dunque di un popolo e di una classe politica all’altezza di questo compito.

09/09/2004

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Isgàrrica s’artìculu: 2004-09-09 – Qualche critica e una proposta per uscire dallo stallo autonomista

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