Ascoltare, condividere, proporre… Per l’Assemblea Costituente del Popolo Sardo

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Di fronte alla crisi devastante che interessa sempre più ampi spazi della società sarda diventa indispensabile capire e affrontare le ragioni strutturali che sono alla base del malessere in cui la Sardegna sta sprofondando.

In un recente rapporto pubblicato dal SOSE, società che si occupa di analizzare gli studi di settore, la Sardegna per il solo quadriennio 2007-2010, era rispetto alle regioni dello stato italiano quella con la maggiore contrazione del “totale delle operazioni attive” (si parla di una diminuzione del 3,8% del volume d’affari, desunto dalle comunicazioni e dichiarazioni annuali dell’IVA). Un dato ancora più preoccupante, sempre relativo al rapporto SOSE, è quello che riferisce del saldo tra acquisti e cessioni dei “beni strumentali”, cioè quei beni (attrezzature, macchinari, computer, accessori, etc.) che sono acquistati dalle singole imprese al fine di essere utilizzati per la produzione. In questo caso si parla di un calo complessivo negli ultimi tre anni del 44,3%; ciò porta all’immediata deduzione che l’impresa privata non investe più nella crescita, un sintomo evidente della condizione di sottosviluppo in cui si trova oggi la Sardegna.

Davanti a una paralisi di tale portata, oggi più che mai la politica regionale sembra aver perso l’orientamento, incapace non solo di fare fronte alle numerose emergenze sociali che si diffondono nell’isola ma anche d’intravedere minimamente una pur tenue linea di sviluppo che non sia l’accettazione passiva dei soliti modelli calati dall’esterno (Galsi, centrali eoliche e fotovoltaiche, “chimica verde”, servitù militari, etc.).

Da più parti, all’interno del dibattito pubblico, si continua a reclamare e rivendicare il “diritto al lavoro”. Il lavoro dunque come imprescindibile condizione per risollevare dalla crisi la società sarda. Tuttavia sembra quasi che la pur legittima pretesa, da parte di molti attori della scena politica e sociale, affinché si contenga la contrazione occupazionale, non sia sufficientemente accompagnata da una riflessione che porti a individuare nuove strade per il progresso della nostra terra.

E’ oramai evidente che il modello dell’industria pesante in Sardegna rappresenta un fardello di cui alla fine ci si dovrà definitivamente liberare se si vorrà cominciare a riflettere collettivamente sulle ampie possibilità che potremmo avere per uno sviluppo diverso, equo e sostenibile.

Ora si tratta di capire come uscire “dolcemente” da un modello industriale che, alla luce di quanto visto negli ultimi quarant’anni, non si può certo definire più con il termine di ‘sviluppo’, poiché non solo esso è stato il frutto di scelte miopi e devastanti per la salute dell’ecosistema in cui viviamo, ma soprattutto ha generato uno scollamento dei sardi con i saperi storici e tradizionali che si tramandavano da millenni. Saperi che oggi, molte regioni del mondo stanno invece valorizzando, mettendo in pratica forme virtuose di sviluppo che permettono una crescita armoniosa con i luoghi senza comprometterne l’integrità naturale e persino contribuendo a rigenerarne la bellezza qualora quest’ultima fosse stata alterata dall’uomo.

La riconversione industriale (e nel mondo gli esempi eccellenti in questo campo sono numerosissimi) è un modello a cui tutti noi dovremmo guardare per ragionare insieme sulle tante possibilità che potremmo avere per dare una svolta per la nostra terra. Questo lo potremmo fare solo quando saremmo pienamente liberi di decidere con serenità, senza che le agende politiche siano dettate da “ordini di scuderia” o di partiti rispondenti più che altro a interessi esterni all’isola, come per altro è sempre avvenuto fino a oggi. Il primo passo da compiere è quello di acquisire sempre maggiori ambiti di sovranità nei settori chiave dell’economia sarda:

La Sovranità Fiscale, in altre parole poter decidere una nostra politica fiscale con la costituzione di un’Agenzia delle Entrate Sarda che riscuota direttamente i tributi nell’isola;

La Sovranità Energetica, ovvero poter governare  completamente il sistema di produzione energetica per mezzo dello studio e dell’ implementazione di un Piano Energetico Sardo che tenga conto di un reale fabbisogno e  ri-definisca i siti idonei a ospitare gli impianti di produzione (eolici, fotovoltaici, etc.);

La Sovranità Alimentare, ovvero sviluppare e favorire le produzioni locali dell’agroalimentare (in questo settore importiamo scandalosamente l’85% di ciò che consumiamo), attraverso lo studio di politiche che riducano le filiere della produzione e che incentivino la ri-occupazione delle terre limitrofe ai centri abitati con orti sociali, gruppi di cittadini-produttori, ecc;

Infine, la Sovranità Politica, condizione base per tutte le altre e che pone una questione molto complessa e discussa ultimamente: come si può ripensare completamente il sistema normativo che ci governa e rimettere in discussione il rapporto istituzionale che lega la Sardegna allo Stato Italiano?

Al di là delle oggettive difficoltà, occorre intraprendere il percorso verso il pieno  autogoverno senza più nessuna remora o indecisione se si vuole che siano i cittadini sardi a stabilire le sorti della loro terra. La prima vera svolta nasce da questo passo: l’assunzione piena di responsabilità per le decisioni che ci riguardano, senza più condizionamenti da interessi esterni ma senza neanche più scuse e rivendicazioni per ciò che vorremmo fosse fatto (da altri per noi) o per ciò che ci dovrebbe essere concesso.

Siamo noi sardi gli artefici del nostro destino e in quanto tali abbiamo il diritto e il dovere di agire per avere sempre più strumenti affinché questo avvenga. Il primo di questi strumenti è la ri-scrittura del nostro Statuto, la nostra attuale Carta Costituzionale. Per fare ciò è necessario mettere in moto un enorme processo collettivo, il più ampio e condiviso possibile in tutta la società sarda, affinché si giunga alla formazione di un’Assemblea Costituente del Popolo Sardo che avrà il compito di riflettere, discutere e elaborare  l’insieme delle norme di cui la Sardegna ha veramente bisogno.

E’ un percorso difficile quello che ci aspetta, non riguarda solo iRS  e il nostro modo di fare politica, riguarda anche tutti quei sardi che dovremmo coinvolgere verso l’amore per la cosa pubblica e il bene comune. iRS da diverso tempo ha intrapreso un cammino di ascolto e empatia nei confronti di alcune categorie che oggi manifestano il proprio disagio. Questo tuttavia non fa dimenticare che in Sardegna esistono ancora tanti “silenti inascoltati” ed esclusi e cui è necessario prestare attenzione affinché anche le loro questioni possano trovare cittadinanza. Il “popolo” è anche quello che si nasconde fra gli emarginati, gli esclusi, coloro che non hanno voce e rappresentanza.


La presenza di iRS indipendèntzia Repùbrica de Sardigna alla manifestazione indetta dai Sindacati confederali il 13 Marzo a Cagliari, rientra nel dovere alla solidarietà per qualunque contesto sociale  di sofferenza presente  oggi nella nostra isola.

Siamo consapevoli che i problemi della Sardegna, pur nella loro specificità, sono comunque parte di un sistema più complesso all’interno della società contemporanea e per la cui soluzione non sono più sufficienti le forme tradizionali di conflitto, basate sulla protesta o sulla rivendicazione.  Inizialmente queste forme possono essere comunque utili per condividere i disagi che ci stanno intorno, convinti che ogni malessere anche quello più profondo, potrà essere affrontato soltanto se si favorirà l’incontro tra le persone e i loro stessi problemi, assumendo questi problemi sulle proprie spalle, organizzando e progettando il lavoro che può contribuire a risolverli, mettendo in rapporto  reti di relazione tra contesti anche molto diversi ma uniti verso il raggiungimento del benessere di coloro che abitano la Sardegna, chiunque questi siano o decidano di sentirsi: sardi, italiani, tedeschi, senegalesi o di qualunque altra parte del mondo.

Date le condizioni del nostro sottosviluppo, indotto e reiterato, a maggior ragione è importante vedersi, ascoltarsi, informarsi come impegno imprescindibile per chi ha deciso che l’ampliamento del processo verso la nostra sovranità si compia attraverso la trasversalità e la non-violenza. E’ nostro compito affrancare quest’isola dai vincoli di un’etica produttiva che ha impoverito le popolazioni, distrutto le biodiversità, offeso la dignità individuale. Questo è lo stato che ci meritiamo se non possiamo decidere in quali  forme attuare la sovranità alimentare, quella energetica e quella fiscale.  Non sfuggono come principali obiettivi da perseguire né la restituzione delle risorse dovute, né un serio tavolo di trattativa tra stato italiano e sardi, ma resta chiaro che occorre pensare insieme in Sardegna le nuove regole per la fuoriuscita da questo giogo istituzionale che ci attanaglia da ormai troppo tempo.

iRS – indipendèntzia Repùbrica de Sardigna

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